Danni alle cellule di Purkinje
causano deficit di apprendimento
ROBERTO
COLONNA
NOTE E NOTIZIE - Anno XVIII – 20 marzo
2021.
Testi
pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di
Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie
o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione
“note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati
fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui
argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione
Scientifica della Società.
[Tipologia del testo: RECENSIONE]
Una
casistica di proporzioni significative ha associato il danno del cervelletto
nella fase terminale della vita intrauterina o in epoca neonatale a deficit cognitivi
e motori che segnano la vita nelle epoche successive. Si ritiene che l’azione
della noxa a tale stadio di sviluppo comporti un ritardo nella
maturazione di circuiti neuronici, determinando alterazioni delle prestazioni
intellettive e della motricità.
Aaron Sathyanesan, Panagiotis Kratimenos e Vittorio Gallo hanno cercato di identificare
con precisione le basi neuropatologiche cerebellari del deficit di
apprendimento locomotorio adottando un modello clinicamente rilevante di danno
cerebrale neonatale.
Impiegando
la misura mediante fibra ottica dell’attività elettrica durante la locomozione dei
principali elementi neuronici del cervelletto, cioè le cellule di Purkinje, i
ricercatori hanno fornito evidenze per cambiamenti a lungo termine di risposte
neuroniche durante l’apprendimento.
Riducendo artificialmente la funzione delle
cellule di Purkinje durante lo stadio di sviluppo neonatale, Gallo e colleghi
hanno registrato risposte fisiologiche con un profilo di alterazione simile a quello
rilevato nelle condizioni patologiche cliniche. I risultati di questo studio
indicano che l’inibizione dello sviluppo delle cellule di Purkinje cerebellari dovuta
a danni precoci causa sicuramente disfunzione locomotoria di lunga durata, per
difetto di apprendimento.
(Sathyanesan A., et al. Disruption
of neonatal Purkinje cell function underlies injury-related learning deficits. Proceedings of the National Academy of
Sciences USA 118 (11): e2017876118 – Epub ahead of print doi: 10.1073/pnas.2017876118, 2021).
La provenienza degli autori è la seguente: Center for
Neuroscience Research, Children’s National Research Institute, Children’s
National Hospital, Washington (USA); Department of Neonatology, Children’s National
Hospital, Washington (USA); The George Washington University School of Medicine
and Health Sciences, Washington DC (USA).
[Edited by Silvia Arber, University of Basel, Switzerland].
Qui di
seguito si propone un’introduzione al cervelletto e alle cellule di Purkinje
tratto da un articolo dello scorso settembre:
“Il cervelletto è quella
parte dell’encefalo che occupa la fossa cranica posteriore ed è presente in
tutti i vertebrati con uno sviluppo proporzionato a quello del cervello. Si
presenta costituito da tre parti: una struttura mediana di minore dimensione denominata
verme cerebellare, corrispondente al cervelletto primitivo presente
anche nei più bassi vertebrati (paleocerebello),
e due espansioni laterali dette emisferi cerebellari. È situato nella
loggia cerebellare delimitata dal tentorio e si sviluppa sotto il cervello, dietro
il ponte, sopra il bulbo. Il suo diametro trasverso raggiunge un massimo di
dieci centimetri, mentre verticalmente supera raramente i cinque centimetri per
un peso complessivo medio di 140 g, ossia l’ottava parte del peso del cervello.
I solchi del cervelletto consentono di ripartirlo in tre lobi e numerosi
lobuli, accuratamente descritti dagli antichi anatomisti secondo criteri che non
hanno trovato riscontro fisiologico o utilità clinica.
Il fascino esercitato sugli antichi morfologi dalla struttura corticale
cerebellare costituita da innumerevoli lamelle è stato superiore a quello dell’organizzazione
in rami e ramoscelli diretti ai lobuli della sostanza bianca del centro midollare
o tronco, cui diedero il suggestivo nome di albero della vita. Contrariamente
a quanto creduto da alcuni studiosi contemporanei di storia della medicina,
questa denominazione non trae affatto origine dall’erronea attribuzione al
cervelletto di un ruolo vitale nella fisiologia dell’organismo, ma dall’analogia
morfologica con la tuia (Thuja, L. 1753), una
pianta arborea sempreverde delle Cupressaceae che
presenta, al posto di foglie larghe, verdi diramazioni e sotto-diramazioni
multiple costituite da minuscole scagliette foliacee[1]. A differenza del cervello,
in cui la sostanza bianca ha un’enorme espansione indipendente con le sue strutture
interemisferiche e il centro ovale di Vieussens, entrando
solo perifericamente nella costituzione dei giri corticali, nel cervelletto l’aggregato
pirenoforico corticale segue come un rivestimento
tutte le diramazioni della sostanza bianca che, nell’aspetto morfologico
macroscopico delle sezioni dell’organo, appare come un semplice complemento
della preponderante struttura grigia.
La corteccia del cervelletto ha lo spessore di un millimetro o un
millimetro e mezzo, e al taglio rivela due zone di aspetto differente: 1) uno strato
esterno o superficiale di colore grigio pallido; 2) uno strato interno o
profondo dal colorito tendente al fulvo rossastro, che giustifica la definizione
di strato rugginoso.
L’esame microscopico della corteccia cerebellare consente di distinguere
uno strato esterno o molecolare, che costituisce circa la metà dell’intera
struttura e presenta abbondanza di fibre e scarsità di cellule, e uno strato
interno o granuloso caratterizzato da numerosissime cellule.
Fra queste due lamine di tessuto grigio si interpone uno strato
intermedio o zona mediana, sottile ma caratterizzata da una fila di neuroni
esclusivi del cervelletto e dalla morfologia inconfondibile: le cellule di
Purkinje.
Le cellule di Purkinje sono disposte a formare una fila abbastanza
regolare, anche se a tratti si notano lievi irregolarità, perché alcuni di
questi neuroni inibitori GABAergici sono dislocati verso la superficie esterna
della corteccia, non in linea con la maggioranza, tanto da meritarsi il nome di
“cellule spostate”, con il quale erano state descritte da Santiago Ramon y Cajal. Le cellule di Purkinje sono piriformi, con l’asse
maggiore di 50-60 micron e una larghezza non superiore ai 25-30 micron, e presentano
al polo superiore, rivolto verso la superficie esterna della corteccia, un
tronco dendritico di grande calibro che si divide presto in grosse diramazioni
principali, dalle quali originano, con una morfologia che ricorda un po’ quella
dei rami della quercia, diramazioni secondarie e terziarie, che penetrano nello
strato molecolare. L’espansione a ventaglio si risolve in una “lussureggiante arborizzazione
che si può seguire fino alla superficie piale”[2], secondo la descrizione classica.
Sui rami si possono osservare le numerosissime spine dendritiche, che in
questi neuroni sono state accuratamente studiate nell’ultrastruttura al
microscopio elettronico. È interessante la disposizione della fitta
arborizzazione dendritica delle cellule di Purkinje, che Obersteiner
paragonò a una pianta di vivaio fatta sviluppare intorno a un “sostegno a
spalliera”, da cui la denominazione di spalliera dendritica che si
adotta attualmente. Questa struttura è infatti disposta su un piano ortogonale
rispetto a quello principale della lamella della corteccia del cervelletto, per
cui si dice che l’arborizzazione a spalliera “si espande per traverso alla
lamella”[3].
Dal polo opposto o interno della cellula di Purkinje origina il neurite
che diventa cilindrasse, ossia assone rivestito di mielina[4], presentando la caratteristica
di un diametro inferiore a quello del tronco dendritico, all’opposto di quanto
accade per la maggior parte dei neuroni. Dopo un tratto più o meno breve, l’assone
emette rami collaterali, alcuni dei quali terminano nello strato granuloso
mentre altri risalgono come collaterali retrogradi fino al molecolare
dove assumono decorso orizzontale e terminano circondando con una terminazione
anulare il tronco dendritico della stessa cellula, di un’altra o di numerose
altre cellule di Purkinje, realizzando un controllo inibitorio retrogrado dell’input
che arriva dalle sinapsi formate dalle spine della spalliera dendritica con i
neuriti dei neuroni che compongono la citoarchitettonica corticale. Dopo aver
emesso i collaterali, proseguendo il suo percorso, il neurite entra con la
miriade di altri cilindrassi omologhi nella sostanza midollare, dove
costituisce la connessione diretta ai nuclei centrali del cervelletto, ossia la
via cortico-nucleare cerebellare”[5].
Per
spiegare come si producano deficit generalmente interconnessi, motori, psicomotori
e cognitivi a lungo termine, per non dire permanenti, a seguito di danni
perinatali encefalici con interessamento del cervelletto, l’ipotesi patogenetica
più seguita vuole che si abbia un’alterazione qualitativa oltre che
quantitativa della maturazione di circuiti essenziali per queste funzioni.
Aaron Sathyanesan, Panagiotis Kratimenos e Vittorio Gallo, per mettere alla prova questa
tesi e cercare di definire i meccanismi del danno, hanno impiegato una
procedura innovativa, integrando due tecniche all’avanguardia, cioè la GCaMP6f
fiber photometry con la
misura automatizzata dell’attività cerebellare mediante l’ErasmusLadder.
In tal modo, i ricercatori sono riusciti ad ottenere la prova che, durante il
comportamento maladattativo, ossia deficitario, i danni del cervelletto hanno
un ruolo causale nelle alterazioni elettriche delle risposte
delle cellule di Purkinje.
Dopo, si è
provato a verificare se, sperimentando una inattivazione mirata dei grandi
neuroni inibitori cerebellari, si riuscisse a mimare l’effetto delle lesioni
precoci della struttura dell’encefalo. A tal fine si è proceduto all’inibizione
chemogenetica delle cellule di Purkinje neonatali, e si è rilevato che tale
“disturbo artificiale” è sufficiente a fenocopiare
il danno perinatale del cervelletto.
Aaron Sathyanesan, Panagiotis Kratimenos e Vittorio Gallo hanno scoperto un legame
diretto tra gli effetti di noxae cerebellari
precoci e la maturazione della corteccia cerebellare dipendente dall’attività.
L’autore della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e
invita alla lettura degli scritti di argomento connesso che appaiono nella sezione
“NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).
Roberto Colonna
BM&L-20 marzo 2021
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2003 con codice fiscale 94098840484, come organizzazione scientifica e culturale
non-profit.
[1] Il nome greco θυία vuol dire “cedro” ed è stato dato
per l’odore emanato dal legno di questa pianta. Originaria di Cina, Giappone, Alaska
e regione dei grandi laghi del Nord America, in latino era detta Arbor vitae; come vuole la legge linguistica del
“conservatorismo della periferia”, in America si è mantenuta la forma latina abbandonata
in Europa ed è ancora chiamata arborvitae. L’origine
della denominazione della sostanza bianca cerebellare è riportata nel Trattato
di Anatomia Umana di Testut e Latarjet
(vol. III, p. 241, UTET, Torino 1974 e seguenti ristampe), nel quale la
translitterazione dal greco è resa con thuya.
[2] Testut
e Latarjet, op. cit., vol. III, p. 242.
[3] Testut
e Latarjet, op. cit., ibidem.
[4] Ricordiamo che fu Purkinje, lo
scopritore di queste cellule, che introdusse il termine “cilindrasse” per
denominare l’assone rivestito da mielina nel sistema nervoso centrale e
distinguerlo dai neuriti delle fibre amieliniche.
[5] Note e Notizie 26-09-20 La
corteccia del cervelletto umano è sorprendente. Sulle cellule di Purkinje
si veda anche: Note e Notizie 10-10-20 Accoppiamento efaptico per inibire le
cellule di Purkinje.